Ci sono degli avvenimenti che quando accadono ti rendi subito conto che stanno segnando la Storia. Lo abbiamo pensato tutti guardando le immagini degli uomini che scavalcavano il Muro di Berlino da cui si erano aperte le prime brecce o le Torri gemelle che si sbriciolavano davanti ai nostri occhi; così come quando, anche oggi, vediamo arrivare le navi piene oltremisura di uomini, donne e bambini che fuggono dalla guerra, dalla povertà, dalle persecuzioni.
Mi sono chiesta tante volte che senso abbia fare memoria, se poi si commettono gli stessi errori, se dalla Storia, dalla nostra storia, quella di cui siamo stati spettatori e a volte anche protagonisti non impariamo nulla.
In questi giorni torna prepotentemente la parola memoria: sono passati 30 anni dallo sbarco degli albanesi al porto di Brindisi, e per quanto questo evento abbia segnato la storia della città e della nostra regione, mi sono interrogata su cosa ha significato per me.
All’epoca ero un’adolescente, e ricordo lo stupore e la confusione che si erano generati.
Ricordo un ragazzo che era stato inserito nella nostra classe, taciturno, con uno strano taglio di capelli. Facemmo poca strada insieme, gli esami erano dietro l’angolo e ci perdemmo presto di vista.
Ma tanti altri che poi si sono inseriti e addirittura confusi tanto da non poterli più identificare come coloro che erano arrivati da lontano.
Mi confronto con Antonella che sicuramente ha uno sguardo diverso dal mio. Lei aveva 23 anni, era una giovane donna, e quella invasione avveniva proprio nella sua città.
Alla confusione dei miei ricordi lei mette ordine.
La cosa grandiosa è stata la mobilitazione immediata delle Istituzioni ma anche dei privati cittadini.
Accanto alle cucine da campo montate velocemente dall’Esercito nel campetto della parrocchia, arrivavano gli operatori della Caritas parrocchiale e tutti quelli che potevano davano una mano anche aprendo le proprie case. Accanto alle coperte grigio/verde militare arrivavano le coperte in più che ognuno aveva nei propri armadi.
Una solidarietà di cui forse si pensava di non essere capaci. Ma come facevi a girarti dall’altra parte quando una pacifica invasione traboccava dal porto e invadeva tutta la città?
La cosa che stupiva era che tutti parlassero l’italiano, ci si capiva perfettamente, e si capiva perfettamente che il loro era un bisogno di sicurezza e di serenità che speravano sarebbe stato appagato in quella terra dall’altra parte del mare che avevano visto tante volte in TV dove scorrevano le immagini delle fiction e dei programmi con le signore in magnifici abiti da sera e ballerine sorridenti.
Forse la risposta alla mia domanda iniziale arriva da un frammento di un video apparso su internet: questa volta in piedi su una scaletta di aeroporto di Tirana appare il primo ministro albanese che saluta un gruppo di medici ed infermieri che si stanno imbarcando alla volta di un Paese messo in ginocchio dalla pandemia da Covid 19: “Non siamo privi di memoria”. In nome di quella accoglienza, di quella vicinanza di quanto compiuto 30 anni fa, nasce spontaneo il gesto di vicinanza e di soccorso a quell’Italia accogliente, oggi in difficoltà.
Forse qualcuno impara dalla Storia, forse davvero per qualcuno fare memoria non è un semplice susseguirsi di eventi, ma un qualcosa che cambia la percezione dell’altro e il nostro stesso modo di porci accanto a lui. Siamo Fratelli tutti!
Durante tutto questo anno, sino al prossimo marzo, a Brindisi e provincia si susseguiranno eventi, manifestazioni e appuntamenti in ricordo di questo anniversario a cura del Comitato Storie di Casa Mia, Sguardi dal marzo 1991, che in questa prima fase invita tutte e tutti a condividere un particolare dei propri ricordi sul sito www.oniricall.org.
Ci facciamo l’augurio che questo anno possa non solo rinfrescare la memoria ma suscitare processi di cambiamento, di accoglienza e di solidarietà sempre più vera e profonda.
Iolanda Milone e Antonella Mastro